Il nume tutelare.

La calamospecchia riconosce un antico nume tutelare nella sua storia familiare: Giuseppe Ayroldi, uno dei maggiorenti di Ostuni, che Vincenzo Cuoco ricorda nel suo saggio dedicato alla Rivoluzione Napoletana del 1799, avvocato repubblicano e libero pensatore, vittima della furia della plebe sanfedista fomentata dai nobili filoborbonici.

Giuseppe Ayroldi – il popolare “Pepparolla”, dalla storpiatura dialettale del suo nome – fu a capo della fazione repubblicana di Ostuni che, alla proclamazione nel 1799 della Repubblica partenopea, aveva elevato (per prima in Terra d'Otranto) nella piazza principale del paese – come sarebbe accaduto poi in altri paesi vicini e nelle piazze di tutte le cittadine dell’ex-Regno – l’Albero della libertà, un simbolo giacobino del vento di rinnovamento che spirava dalla Francia rivoluzionaria. 

Ad Ostuni Giuseppe Ayroldi entrò con i suoi repubblicani in forte contrasto col clero, nonostante nel 1720 la sua famiglia – che peraltro contava diversi prelati – avesse addirittura fatto costruire la Chiesa gentilizia di San Giuseppe, in cui aveva il privilegio di poter assistere alla Messa da una tribuna riservata. Egli sostenne ad esempio le richieste di pagamento di forti tributi richiesta al Capitolo in una ingiunzione della Municipalità ostunese, intestata Eguaglianza e Libertà, che minacciava il sequestro dei beni e l'arresto del Procuratore ecclesiastico; e rivolse la sua lotta anche contro i baroni Zevallos, nobili reazionari che dominavano da tempo la cittadina.

I filoborbonici – guidati appunto dalla Baronessa Maria Carmela Zevallos ed aiutati dal clero a sobillare il popolino bigotto ed ignorante contro “la rivoluzione dei colti” – riuscirono a fomentare una sollevazione contro i repubblicani, durante la quale il palazzo di Giuseppe Ayroldi venne assalito e dato alle fiamme. Ancora oggi si conserva nel palazzo un anfratto scavato nella pietra sopra una vecchia dispensa, annerito dal fumo, dove Giuseppe Ayroldi cercò scampo dalle fiamme, e da dove quasi asfissiato fu tratto a viva forza dai ribelli sanfedisti. 

Ludovico Pepe ricorda nella sua storia del 1888 (Sommario della storia di Ostuni dalle origini al presente, con appendici sulla distruzione di Villanova e sul seggio chiuso della nobiltà di Ostuni) che “nel pomeriggio del 12 febbraio 1799, un fazzoletto appeso sul terrazzo di casa Ayroldi, battezzato per bandiera francese, fu preso a pretesto del saccheggio. Il popolo ammutinato, che aveva abbattuto l’Albero della Libertà, assalì casa Ayroldi appiccandogli il fuoco (...) Il fuoco invase ben presto tutte le stanze, e mentre perivano miseramente i libri, l’archivio e i mobili, lo presero e lo trascinarono semivivo per le scale e per le strade giù fino alla piazza”.

Nella piazza principale, di fronte al convento di san Francesco, in quella che dopo la II guerra mondiale sarebbe stata rinominata piazza Libertà – chissà anche se in ricordo di quel lontano 12 febbraio di fine settecento… – “Pepparolla” fu arso vivo sulla catasta dei residui dell’Albero della libertà. Per questo la sua famiglia ricevette da allora dal popolaccio il soprannome macabro e irridente di famiglia “de lu gnùre”, ossia del nero, del bruciato (prendendosi peraltro una sua rivincita col figlio di Giuseppe, Ferdinando Ayroldi, prima ferventissimo patriota e poi coordinatore del governo provvisorio che resse la città nel 1860).

La sorte tragica di Giuseppe Ayroldi ci racconta di una strenua dedizione alle proprie idee saggiata in circostanze drammatiche; ma che anche nelle contingenze più quotidiane occorrerebbe che accompagnasse sempre le scelte degli uomini, e le loro opere.

 

Il precursore.

Antonio Calamo, professore e poligrafo, è radicato profondamente nella storia della calamospecchia, e non solo con i legami più vicini del sangue; ma perché ha riempito la cornice del vincolo familiare di materia, di un esempio rinsaldato dalla forza del fascino e del mito.

Antonio Calamo è morto nel 1951, ma ha esercitato su chi è venuto dopo di lui – pur senza averlo potuto incontrare – un influsso duraturo. Ed è già qui il suo primo insegnamento: si può – si deve – riuscire a parlare tra le generazioni; anche “Oltre la tomba”, come dice il titolo di un suo libro. Perché esiste un passato che può determinare il presente, e un futuro che va costruito sul passato; perché la vita non è solo adesso, e una vita vissuta “solo adesso” è rifiutare la pienezza della comprensione, lasciarsi accecare e rendere sordi dai tempi.

Ma tra le generazioni si può parlare solo se lo si vuole fortemente; misurarsi – al di là di ogni sacra rivelazione – con la tensione umana alla trasmissione del proprio sapere, delle proprie visioni, alla ricerca di un’”eternità” dei propri gesti da cercare e creare con la cultura.

Antonio Calamo ha esercitato il fascino dell’uomo di cultura, dell’uomo capace di imprimere un ricordo. Quattro lauree – filosofia, scienze, lettere, farmacia – l’ultima a 55 anni; e la leggenda familiare che sia stato dissuaso dal continuare solo da un professore, ad uno degli ultimi esami, che lo invitava a considerare se non fosse stato il caso di smettere, alla sua età…

Antonio Calamo ha esercitato il fascino della sua favolosa biblioteca; luogo mitico in una casa che dopo la sua morte è rimasta a lungo inaccessibile, per contingenze concrete, ma anche per quella cui piace pensare come una forma di rispetto e devozione, tra il filiale e il mistico; perpetuare la memoria dei propri estinti lasciando ogni loro cosa intoccata; ed in particolare la biblioteca, per la reverenza che allora doveva mettere ai suoi figli questo luogo segreto; un luogo per iniziati, la biblioteca come antro di Vulcano, dell’artefice, dell’alchimista di concetti e di parole.

Ed è stato questo il suo secondo insegnamento: si può dedicare tutta una vita ai libri; la parola letta e scritta può costituire il centro della propria esistenza. 

Antonio Calamo ha lasciato l’esempio di una sacra devozione alla Parola, la Parola che i libri sacri di ogni religione indicano come creatrice; e alla parola umana, che è l’unica possibilità che sia data agli uomini di una creazione complessiva, di una creazione di un mondo. Perché solo la parola, l’analisi, la critica danno vita e significato alle cose; riscattano il puro fare dalla sua insensatezza.  

Antonio Calamo ha dedicato la sua vita alla parola, in ogni sua accezione. Fu uomo di conoscenze amplissime, ma soprattutto vorace di conoscenza; un altro mito familiare vuole che leggesse correntemente il sanscrito; quello che è certo è che fu un uomo insieme di grande cultura e di una erudizione sconfinata, travasata nei suoi libri fin troppo pieni di citazioni. Ne scrisse diversi, ed alcuni riscossero un successo che lo portò ad essere più volte citato dagli studiosi dell’epoca; in particolare “Oltre la tomba”, e “O Roma o morte”.

Le tesi che vi sono contenute possono essere non così pienamente condivisibili, oggi; e forse, anche avantieri, lo stesso “Pepparolla” non le avrebbe condivise… Ma l’insegnamento cruciale che ancora ci giunge dai libri di Antonio Calamo non sta nelle loro tesi, ma nella passione veemente di cui sono pieni; la passione di partecipare, di schierarsi, di esporsi, di fare proseliti – e per noi oggi, la passione di pubblicare; l’idea che la parola possa “cambiare il mondo”, anche il piccolo, sconfinato mondo di un lettore; altrimenti perché pubblicare, appunto; perché scrivere, perché parlare, perché insegnare.

Antonio Calamo ha il fascino degli uomini ardenti, appassionati; e in più il fascino dello scrittore arteficeche ama la parola in sé, come un suo prodotto artigianale; una parola forbita, ricercata, piena di incisi e di incisi negli incisi; complessa, articolata, perché il pensiero è complesso e articolato; difficile e faticosa, perché la cultura è difficoltà, e fatica; perché non si impara divertendosi; e non si può insegnare, se non ci sanguina il cuore.

Antonio Calamo ha voluto fortemente insegnare, per l’urgenza del suo mondo interiore traboccante. Riuniva i suoi alunni d’estate sulla sua terrazza “per continuare a formar menti ed animi”, come scrisse uno di loro; e pensò al Liceo della sua cittadina, che fondò e sostenne a lungo a sue spese, come ad una tribuna di fervore e orientamento, non come a un luogo di piatta divulgazione; come a un crogiolo da cui far emergere una scelta, non come a una rassegna di idee ognuna sullo stesso piano dell’altra; perché pensava ad una Scuola non neutrale, ma a una Scuola che deve avere un senso e un progetto; il progetto racchiuso nell’anima di chi insegna, se chi insegna ha un’anima. 

Il progetto di chiedere agli studenti la loro verità, ma solo consegnando ad essi la propria, senza schermi; di costruire una comunanza con gli allievi che la tua verità, la tua passione trasformi in comunione; di spendersi in una relazione profonda senza la quale non c’è vera comunicazione, né insegnamento vero.

Uno dei suoi alunni racconta che il primo giorno di scuola Antonio Calamo entrò in classe, ancora sconosciuto a tutti, e subito, senza dir altro, iniziò a leggere l’Eneide; si fece voce appassionata di Virgilio, diede a quelle parole antiche le sue ansie presenti, i suoi desideri, le sue rabbie. “Sul finir dell’ora eravamo tutti rapiti, commossi, da sbalorditi che eravamo in principio; e commosso era anche lui; una corrente di viva simpatia s’era subitamente stabilita tra scolari e insegnante.”

Antonio Calamo sapeva spendere la sua vita; nella passione, nella cultura, nella spesa di sé che dev’essere l’insegnamento.  

Dietro di sé ha lasciato dunque una ampia eredità ideale, che la calamospecchia si sforza di onorare, senza enfasi, nelle sue scelte: l’amore per la verità, al di là di ogni utile, di ogni ritorno; e la strada della passione, in cui giocarsi l’esistenza arrischiandosi in proprio.

Principali pubblicazioni di Antonio Calamo:

1897 - Per il Liceo di Ostuni

1905 - Oltre la tomba

1908 - La scuola laica

1909 - Il magistero della scuola

1910 - Ai cattolici d’Italia

1911 - O Roma o morte

1920 - Il Partito Popolare Italiano e il Socialismo

1922 - La vita e la morte: saggio di filosofia linguistica

1928 - Il potere civile e lo Stato fascista