La cartavalori della calamospecchia.

Ad una lettura attenta delle storie di Giuseppe Ayroldi e di Antonio Calamo si delineano con forza i capisaldi dell’universo di riferimento valoriale che la calamospecchia statuisce per sé, ma che può essere di qualche interesse conoscere per i suoi lettori; e che qui dunque si riporta – nella più grande umiltà – sotto la forma riassunta di un modesto octalogo, che non azzarda la perfezione del 10…

1. La memoria

Forse è stato prendere le mosse lungo gli influssi degli avi che ci ha spontaneamente orientati ad uno sguardo privilegiato sul passato; ma il passato come memoria complessa, come giacimento di significati, più che come puro ricordo o analisi superficiale.

Ridar vita ostinatamente a storie, personalità, ricordi dimenticati, offuscati dall’accumularsi del tempo o trascurati dalla sciatteria dei tempi, raccogliere eredità di conoscenza e di scelte – e soprattutto  proporne senza omissioni le ineludibili conseguenze – è il primo dei motivi per cui la calamospecchia si è costituita. 

Il nostro intento è dar voce ad interrogazioni sul senso profondo di ciò che nei nostri libri si verrà ricostruendo; e nel far questo, di dare un piccolo contributo all’interrogazione generale sul senso futuro della memoria e della cultura, che crediamo sia una delle domande cruciali del presente.

C’è un futuro per la memoria? E soprattutto, c’è un futuro per la cultura, fuori dalla memoria?

2. Il libro

Il libro è al centro degli interessi della calamospecchia. Il libro come oggetto che si serve della sua bellezza come metadiscorso sulla sua stessa rilevanza, sul culto cui si propone. Il libro come supporto materico ed insieme metafora della stabilità delle opinioni, ancoraggio di una loro trasmissibilità riconoscibile e responsabile, ossia di una loro compiuta esposizione come tappa nel flusso del loro continuo mutamento. Il libro come mezzo fisicamente limitato che richiede all’autore e all’editore selezione e dunque analisi, riflessione, gerarchizzazione della rilevanza, fatica, spesa, azzardo e comunque rischio. Il libro come benedetta difficoltà promovente. 

3. La scrittura

La calamospecchia non mette dunque le sue pagine al servizio di una facile leggerezza che si faccia evanescenza e trascolori in piatta leggibilità commerciale; ma della rappresentazione più piena e più chiara di un pensiero complesso, chiara perchè dispiega e rende visibili i nessi ma senza abolirne nessuno – ossia senza semplificare. E accetta dunque la sfida di una scrittura che per far questo possa non rinunciare alle oscurità risonanti, suggestive; che sia quindi capace di trasferire – o di generare – significato percettivo al di là del puro codice sintattico.

4. La passione

A sua volta, è forse in particolare una scrittura articolata e profonda – una scrittura sottratta alla dittatura della leggerezza obbligatoria, al soffocamento della pura leggibilità – che può generare libri non neutri ma dichiaratamente scoperti, non solo documentati ma appassionati, libri nati per cambiare il mondo anche di un solo lettore, nella consapevolezza che nulla è cambiato dalla sola conoscenza se non l’accompagna la spinta della passione. 

Ossia i libri che la calamospecchia ambisce a pubblicare.

5. Editore e coautore

La calamospecchia si appassiona alle passioni dei suoi autori: come molti editori, usa libri scritti da altri per scrivere un suo libro complessivo. Cioè coinvolge i suoi autori nella scrittura del libro complessivo della sua esistenza, della sua visione del mondo, della sua passione; che poi diventa quello anche dell’esistenza, della visione del mondo e della passione degli autori, perché man mano si modifica incontrando gli autori che ne vengono a loro volta modificati. La calamospecchia cioè “scrive” la sua opera quando fomenta l’opera di ogni autore, la sollecita e la scava e insieme la accetta e se ne fa scavare, lotta con l’autore per edificarla o demolirla, ci mette le mani, si “impiastriccia” e la “impiastriccia” e soprattutto chiede all’autore di “impiastricciarsi” della sua stessa opera, di dismettere ogni lontananza apollinea, di accorciare le distanze. Dunque l’opera dell’autore calamospecchia può – anzi deve – essere diversa da altre sue opere con altri editori; deve diventare parte dell’opera collettiva che è ogni casa editrice – e che vogliamo sia anche la nostra. 

6. La sacralità

Gli autori accettano la sfida dell’entusiasmo, del “dio-dentro-di sé” come via maestra per la singolarità e l’originalità delle loro opere con la calamospecchia. In questo modo, l’aura religiosa del libro-esemplare unico tramandato nelle biblioteche di famiglia con gli appunti ad inchiostro degli avi, l’aura del “Libro” come oggetto di culto, la sacralità insomma scomparsa dai libri profani contemporanei – puri oggetti commerciali – potrà essere ricostituita nel darsi tutti degli autori, nel loro auto-sacrificio rituale, nell’esposizione agli elementi, nell’imbarazzante essere sè stessi. Dunque l’autenticità del libro come opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica è nelle relazioni umane speciali, specifiche, irripetibili che lo creano e che lo presuppongono. In questo senso l’opera in editoria è comunione e gesto collettivo.

7. Ai confini dei generi

Parlare di entusiasmo e personalizzazione ed emozioni non vuol dire però affermare una supremazia ad esempio della poesia o della narrativa (se di tali pulsioni le pensassimo come veicoli esclusivi – il che non è), che viceversa la nostra casa editrice non pubblica in quanto tali. Vuol dire invece per la calamospecchia porsi un’ulteriore sfida, quella di esplorare coi suoi autori nuove possibili vie in un genere moderno e forse ancora da ultimare e definire, al confine di tutti i generi o che rifiuti generi e confini, che faccia saltare le scansioni più tradizionali e che abbia come denominatore comune non tanto il rigore saggistico contrapposto alla creazione fantasiosa quanto l’afflato della confessione più che la formalità fredda nel riportare o nel raccontare; il lavoro sull’opera come teofania laica, apparizione di sé a sé stessi mediata dal proprio stesso lavoro, in cui non si narra né si relaziona, ma si accetta la scrittura, il libro, il far cultura semplicemente come un modo del proprio esistere. 

8. enne-di-é 

Questa sfida – e conclusivamente la sfida di essersi costituita – viene celebrata nei libri calamospecchia dalla enne-di-é, la nota che chiude ogni libro, sorta di peri-fazione editoriale del tutto libera ed emozionale, che metta a fuoco la verità e il senso di quel che è pubblicato e non ne sottolinei solo la valenza “tecnica”. Peri-fazione, perché non rivede l’opera ma la riveste e la circonda; perché non è prefazione che introduce, o postfazione che commenta (ma potranno esserci anche quelle), quanto piuttosto concento facinoroso, discorso fazioso che avvolge il testo di una soggettività spinta. Cos’è quell’opera per la casa editrice – o anche per l’autore, per un critico; ma non in quanto ruoli, in quanto esperienze vitali. Più sfida di così…